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Ferroviere ma non macchinista
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- Quando i treni correvano più lenti
- e quelli veloci si chiamavano
espressi
- quanto i viaggiatori non erano
clienti
- e nemmeno i merci venivan soppressi
- quando le nostre tasche non eran
così vuote
- e la reclame sembrava un sacrilegio
- quando i freni squadravano le ruote
- e andare in treno era ancora un
privilegio,
- allora i treni marciavano sicuri
- e noi viaggiavamo per professione,
- compagni lavoratori puri e duri,
- conducevamo folle a destinazione,
- molte notti bianche, nessuna noiosa
- e per ritrovarti sul far del mattino
- sulla via del ritorno razziavo una
rosa,
- di volta in volta in un nuovo
giardino,
- il tempo appena di scambiarci uno
sguardo
- e piombare rapido nel fondo di un
sogno
- ancora di turno sul quel treno in
ritardo
- là dove il dormire
è solo bisogno.
- E quelle partenze alle tre del
mattino
- per scortare sonnambulo il locale in
riviera
- alternar sigarette a caffè e
cappuccino
- sognar ventimiglia come nuova
frontiera
- e il "breve riposo",
tortura sottile,
- in quelle lenzuola tenor carta-vetro
- in cui sognarsi fachiro
è gioco
puerile.
- Le partite a cirulla unico metro
- di un tempo infinito affogato nel
fumo
- tra voci incolori e borse pesanti
- lodore dei freni pareva profumo
- alle nostre narici di impiegati
viaggianti.
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Genova, febbraio 2005
- (*) Finalista al concorso L'
identità, poesie e racconti, 2017, pubblicata nell'antologia omonima,
EFFIGI
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